Pratobello, la rivolta degli orgolesi e la sconfitta dello stato
Antonello Bombagi
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È il 27 maggio del ’69 quando sui muri del paese compaiono alcuni manifesti riguardanti i territori di Pratobello.
S’invita la popolazione ad abbandonarli per lasciare posto ad un insediamento militare presentato come “temporaneo”. Ma il ’68, in quel momento storico, echeggia ancora nelle piazze d’Italia. La voglia di ribellarsi a tutto ciò che rappresenta l’imposizione dello stato è più che mai viva, soprattutto fra i giovani. E sono loro che per primi vengono a conoscenza della verità nascosta. In quel fertile altopiano dove pascolano 40.000 capi di bestiame, il governo italiano intende realizzare un insediamento militare permanente.
La notizia non viene presa bene dalla popolazione e, sulla spinta fornita dal circolo giovanile, in dieci giorni il paese si mobilita riunendosi in assemblea popolare.
Quell’offerta di risarcimento di 30 lire a capo prevista dal piano governativo, in un periodo in cui un kg di mangime ne costa almeno 75, viene valutata come una presa in giro e spinge l’intera comunità alla ribellione.

Ne nasce un braccio di ferro piuttosto inedito. Il 19 giugno, il giorno previsto per l’avvio delle operazioni governative, i militari giunti a Pratobello si trovano a dover fronteggiare una folla immensa. Almeno cinquemila persone sono determinate a non cedere un solo centimetro della propria terra. Orgosolo conta 4500 abitanti, ma alla lotta si uniscono centinaia di persone dei paesi vicini. Alcuni arrivano perfino da Nuoro.
L’esercito reagisce schierando sulla strada Provinciale una colonna di mezzi militari. A questo si contrappone subito un blocco spontaneo istituito dai cittadini, con le donne del paese in prima fila.
I militari provano l’azione di forza con il lancio di alcune bombe a mano. Ne nasce un parapiglia. Ci sono momenti di forte tensione, ma ancora grazie all’intervento delle donne che rimangono compatte in prima fila, l’esercito si deve fermare in attesa di istruzioni.

Quel giorno a Pratobello non ci sono vittime per fortuna, ma a causa del trambusto, il primo programma delle esercitazioni previste se ne va in fumo. E proprio a causa dell’occupazione dei territori da parte dei manifestanti. La prima battaglia é vinta.
Dall’altra parte della barricata Francesco Cossiga, allora giovane sottosegretario alla Difesa, prova a risolvere la situazione con l’invio di alcuni contingenti spostati da Nuoro, Cagliari, Genova, Pisa e perfino Padova. Ma la lotta è appena cominciata e dalla parte degli Orgolesi iniziano a schierarsi personaggi illustri. Uno fra tanti, Emilio Lussu.
L’uomo, scrittore e politico, fu il fondatore del Partito Sardo d’Azione e fra i primi in quella circostanza ad avere il coraggio di prendere una posizione netta sulla vicenda. Lussu si espone pubblicamente con un lettera inviata al popolo di Orgosolo in cui dichiara tutto il suo sostegno morale alla protesta.
Dopo alcuni giorni di riflessione e calma apparente l’esercito si scatena in una vera e propria caccia all’uomo.
Con l’ausilio di elicotteri e carri armati portano avanti azioni di forza e retate che producono i primi arresti, poi confermati per direttissima dalla questura di Nuoro. Ed è a questo punto che entra in scena il resto della società civile.

Sindacati e partiti politici si schierano compatti in appoggio alla protesta, condannando con fermezza l’uso della forza da parte dello Stato. Si arriva così al 27 giugno, quando sull’onda del crescente clima di dissenso che aveva raggiunto quasi tutti gli strati della società civile, l’esercito inizia la sua ritirata. È il segnale atteso e salutato con soddisfazione da ampie fasce della popolazione.
Da quel giorno in poi si registrerà un costante abbassamento dei toni e dei motivi di scontro. Lo Stato in silenzio ritira l’esercito da Pratobello e gli Orgolesi possono riprendere a far pascolare le loro greggi nei territori oggetto della contesa. La guerra è vinta.
Un anno dopo un gruppo di anarchici che si firmano con lo pseudonimo di “Dionisio” realizza il primo murale. Quel che sarà il progenitore di una striscia destinata ad arrivare fino ai nostri giorni.
Lo Stato è sconfitto e le opere d’arte lo raccontano in tutti i modi possibili, prendendone di mira la sua arroganza, i personaggi, il militarismo, e nondimeno le ingiustizie sociali.
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