
di Antonello Bombagi
C’era un tempo in cui per difendere la propria isola dall’invasore straniero era sufficiente qualche catapulta. Poi ci vollero i cannoni e più avanti le armi automatiche. La nostra isola è disseminata di torri e torrette, utilizzate come postazioni di difesa contro gli ospiti indesiderati. Quelli che venivano a farsi padroni dei nostri tesori, per poi disprezzarne gli abitanti. I Sardignoli.
I tempi cambiano, si evolvono, mutano in continuazione. Oggi quelle migliaia di torrette non servono più come una volta a difenderci dai predatori, ma l’istinto dei nostri vicini è rimasto uguale nei secoli. Sono cambiati invece i sistemi di aggressione e purtroppo il risultato è che la nostra isola soccombe. Accerchiata, umiliata e depauperata.
Le cannonate dei nostri tempi arrivano via carta, su pagine di giornale ormai buone solo a preservare qualche potentato economico, e non più ad informare con puntualità e precisione. Arrivano via web con l’immissione in rete di fake news che diventano virali e incontrollabili. Vengono rilanciate da tv di stato al soldo di coloro che son soliti depredarci.
Eppure spesso è proprio quando tutto sembra perduto e si è con le spalle al muro, che viene fuori il meglio degli uomini. Parlo di quelli con la U maiuscola e che sono maschi e femmine, veri, leali, coraggiosi e fieri, come i sardi hanno sempre dimostrato di saper essere.
Mi viene in mente di una donna che conobbi anni fa. Quando la rividi anni dopo, mi raccontò della sua sofferenza. «Dopo le prime botte» Mi disse «sarei già scappata via. Ma dove potevo andare? Senza famiglia e senza un lavoro! Dovetti subire ancora una volta e poi ancora e ancora. Ero un’isola in mezzo al mare in tempesta. Sola, senza soldi, ed in più segregata in casa. Lui non voleva che uscissi e se ci provavo mi riempiva di colpi».
La sua vita era diventata un inferno senza fine. I suoi occhioni verdi non brillavano più e il volto era tumefatto dalla ignorante follia di quello che era diventato il peggior predatore della sua anima. Ma lei non perse la speranza e alla prima occasione utile, non si fece cogliere impreparata.
Dopo qualche mese di queste angherie, l’aguzzino fu ricoverato in ospedale per le fratture riportate in un incidente d’auto. Guidava ubriaco, gli tolsero la patente e rimase in clinica per oltre un mese. Lei ne approfittò immediatamente per uscire e trovarsi un lavoro. E raggiunta l’indipendenza economica, dopo che lui fu di nuovo a casa, una notte attese che prendesse sonno, si alzò, portò con sè le cose indispensabili, e si riprese in mano la vita e il suo destino.
Tutti noi, come lei e come tanti e tante altre, non dobbiamo perdere la speranza di poterci alzare in piedi per riprendere in mano il destino della nostra terra. E non è necessario augurarsi la morte o la malattia duratura di questo o quello, ma nulla potrà essere fatto se non ci faremo trovare pronti quando se ne presenterà l’occasione. Perché senza autosufficienza economica, non saremo mai liberi di decidere né di volare e né di sapere e conoscere.
Ti vo(g)liamo con noi per partecipare al sogno di un’isola. Dacci una mano