A volte mi chiedo...
A volte mi chiedo perché da noi ogni cosa debba rappresentare una difficoltà. E quando dico da noi, intendo dire: “in Sardegna”. Sì, ogni santo giorno mi domando perché per potermi muovere agevolmente nella mia terra debba essere costretto a usare un automobile e ad alimentare una filiera industriale fra le più inquinanti del pianeta.
La risposta è talmente ovvia...
La risposta è talmente ovvia e vecchia che sa di stantio. E allora in genere passo subito a chiedermi perché in Sardegna non debbano esistere servizi di trasporto pubblico efficienti. Non autobus, se non pochi e lenti perché costretti a percorrere strade strette e tortuose. Non treni, se non rari e obsoleti, costretti anche loro ad andare su binari a scartamento ridotto, in tutti i sensi immaginabili. Non navi, se non scomode, carissime e in regime di semi-monopolio. Non aerei, se non qualcuno e perlopiù in estate, perché d’inverno siamo pochi, ignoranti e talvolta “puzziamo” pure. Non so di cosa per la verità, ma qualcuno è arrivato a dirlo, oltre che pensarlo.
A questo punto...
A questo punto in genere mi fermo perché comincio ad annoiarmi. Da troppi anni mi faccio le stesse domande ogni giorno. Tanto che ormai non arrivo nemmeno più a chiedermi il motivo per cui in Sardegna non solo è difficile muoversi, ma proprio tutto: studiare, formarsi professionalmente, aggiornarsi, curarsi, star bene e naturalmente lavorare. Sì, ho detto naturalmente, poiché senza infrastrutture l’economia fa molta fatica a svilupparsi, soprattutto in un contesto globalizzato come l’attuale dove si compete da una parte con chi quelle infrastrutture le possiede e dall’altra con chi lavora per un dollaro al giorno.
Allora provo a distrarmi...
Allora provo a distrarmi, perché lo so, son fatto così, e mi adiro se mi metto a pensare che in fondo noi tutti paghiamo le tasse allo stato, proprio per avere in cambio quelle strade, quegli ospedali, quelle scuole, e tutti quei servizi che invece non abbiamo. Ho un travaso di bile se penso che non li abbiamo perché costoro hanno altri interessi da portare avanti, altre comunità da tutelare e noi passiamo in secondo, terzo…, ultimo piano. Rischio puntualmente l’ictus se mi metto a pensare che quando qualcuno a fronte di un’obbligazione fornisce qualcosa di diverso e inferiore rispetto al contratto pattuito, si dovrebbe parlare di truffa e puntare dritti in tribunale a chiedere il giusto risarcimento. Ma noi no, non lo facciamo. Ci limitiamo a chiederci: perché?
Alla fine però...
Alla fine però mi torna sempre il sorriso. Già, per fortuna mi viene in mente che quando ero bambino mi dicevano: non ti spaventare mai davanti alle difficoltà, devi affrontarle e superarle, ne uscirai più forte. Le difficoltà temprano, mi insegnavano. E avevano ragione. Questo e solo questo è il motivo per cui il popolo sardo è mediamente più caparbio e tenace di qualsiasi altra comunità del territorio nazionale. Noi impariamo da piccoli, qualche volta fin dalla nascita. Pensate ai poveri bambini di La Maddalena o di Carloforte, costretti ad attendere un elicottero che li porti nell’ospedale più vicino per poter nascere in santa pace.
E così dopo il sorriso...
E così dopo il sorriso, si rafforza in me la convinzione che ce la faremo. Sì certo, ora sto parlando di noi: quei quattro scavezzacollo che si sono stancati di farsi ogni giorno le stesse domande, di aspettare le risposte, di protestare e scrivere, urlare e piangere. Sono sempre più convinto che avremo la forza di portare fino in fondo questo progetto. Un progetto enorme, un piano di sviluppo e quindi anche di libertà, eppure pieno di incognite e difficoltà.
Ma vedete, noi a queste siamo ben abituati 

Antonello 



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